Cardinal
Achille Silvestrini Commemorazione (Brescia, Chiesa
della Pace, 10 Maggio 1990) Mi ha fatto piacere di averlo visto quella volta e
di avergli potuto parlare... Mi chiedo ora quale interpretazione posso dare a
questa figura, da quale angolazione leggerla. E la mia interpretazione è
questa, è la stessa che ne ha dato un suo compagno di prigionia in Boemia,
dopo Caporetto, il quale ha lasciato scritto che per Padre Bevilacqua solo
due cose "contano" (lo dice al presente): "Cristo e la realtà
e bisogna farle incontrare". Ecco, io credo che questa sia l'interpretazione
giusta; almeno io credo di poter dare questa interpretazione. Giulio
Bevilacqua ha sempre avuto come punto di ispirazione fare incontrare agli
uomini di oggi Cristo. Cristo e la realtà. Così egli scrive: "Gesù o
è per noi contemporaneo o cessa di essere Gesù, cioè Salvatore, perché
non si salva dal di fuori né da lontano, ma dal di dentro e da
vicino". "Il Cristo lo dobbiamo collocare nell'oggi, non è un
passato, è l'eterno presente". E ancora: "Se voi volete incontrare un Dio vivo
e vero, lo dovete cercare nella storia
e nella vita,
incontrarlo per strada ". Ecco, questa, mi pare, è la sua tematica e
questa è anche la chiave per la sua biografia. La sua biografia molti di
voi la conoscono meglio di me. Ne parlerò un po' così, a grandi linee. Un
primo periodo consiste nei suoi studi universitari a Lovanio. Studiando
sociologia, lo muove l'interesse per l'uomo. L'attenzione all'uomo
contemporaneo. Segue le prediche natalizie del Cardinal Mercier alla gioventù
universitaria sul mistero dell'Incarnazione del Verbo. Questo gli prende
l'anima e lo afferra nel profondo del cuore per tutta la vita. Lo attira concretamente il problema degli emigrati
italiani, dei lavoratori italiani in Belgio, minatori, operai. La sua tesi
di laurea è sulla legislazione operaia italiana, con la scoperta che egli
fa che in confronto con quella di altri paesi essa è arretrata, che il
principio della libertà e sacralità del popolo che è nelle istituzioni,
nello Statuto, è contraddetto dalla legislazione e che ciò dipende dal
fatto che ancora domina in tutta la classe egemone, nell'economia, nella
finanza, nel lavoro, nella industria, domina ancora l'individualismo e
l'assenza di un senso morale, e che questo dipende dall'indebolimento
dell'idea religiosa che si fonda sul rispetto della persona umana. Gli studi a Lovanio sono certamente una nuova spinta
alla sua vocazione. Quando torna qui a Brescia e approda all'Oratorio, alla
"Pace", è sempre questo interesse umano, per l'uomo
contemporaneo, che lo porta a farsi sacerdote. Per riportare Cristo all'uomo
e l'uomo riabbia attraverso Cristo la sua dignità. Una conferma la vediamo dal fatto che, appena detta
la sua prima Messa il 15 Giugno 1908, tutte le sue tematiche, tutti i suoi
interessi, si rivolgono proprio a questo aspetto. Fa una lezione sulla
previdenza alla cooperazione al Congresso delle associazioni giovanili
cattoliche di Lombardia nel 1911, caldeggia l'organizzazione operaia anche
femminile perché le donne si facciano valere come gli uomini. Alla settimana sociale di Brescia del 1908 aveva
parlato sulla preparazione dei giovani apprendisti. Nel 1912 propone di
fondare una scuola sociale per propagandisti cattolici . Ma già nel 1910 ,
il I° Maggio, alla prima celebrazione cristiana di questa data (quest'anno
è il centenario di questa festa del lavoro, i cattolici cominciano a
festeggiarla ufficialmente vent'anni dopo)
parla sul tema : "La classe operaia ha acquisito il senso della
propria responsabilità", allargando il suo interesse con l'evidenziare
il valore della formazione religiosa culturale dei giovani e degli studenti
in particolare. La società si rigenera, la società avanzerà nella misura
che le nuove generazioni saranno aiutate ad acquisire una cultura, una
professionalità e un senso morale e religioso. Anche la polemica qui a
Brescia su un anticlericalismo nelle scuole pubbliche mostra questa sua
attitudine. Scrive sul "Cittadino di Brescia": "Se fossimo
nemici delle scuole pubbliche noi non combatteremmo mai questi insegnanti,
anzi andremmo a cercarli in tutte le logge massoniche per far fallire le
scuole pubbliche in due mesi. E invece
perché ci preme la scuola pubblica, perché la consideriamo nostra, cioè
della gioventù, proprio per questo desideriamo che la scuola pubblica
compia la sua missione e non la inquini con un anticlericalismo, con una
antireligione che non fa parte della tradizione italiana". Seconda fase. Seconda esperienza. La guerra. La
guerra rivela una posizione che lascia un po' sorpresi. Anzitutto lui che
era stato in Belgio e aveva studiato a Lovanio è subito coinvolto dalla
tragedia dell'invasione del Belgio chi chiama "scandalo" e subito
viene preso dalla tesi che nonostante fosse un immane conflitto, la guerra
aveva delle ragioni di giustifica e che queste ragioni andavano conosciute e
sostenute per fermare la ventata dì follia che seminava per l'Europa
principi disumani. Che vi siano cioè dei popoli "dèi", che il
mondo sia retto dalla forza e che questa serva all'istinto che porta alla
guerra e che vive di guerra. Poi però si ispirava alla frase del Cardinal
Mercier: noi sacerdoti siamo per dovere di stato i pubblici espiatori dei
peccati del mondo... E allora che cos'è che domina la nostra vita? Il
benessere borghese o l'espiazione? Dobbiamo sì o no adempiere col nostro
popolo questa missione di espiazione? Cioè la guerra è una punizione, però
può essere anche un elemento di elevazione e allora lui la fa propria.
L'Italia non è ancora entrata in guerra però lui comincia a pensare che in
questi avvenimenti c'è una simbiosi dell'espiazione, della passione del
singolo con quella della propria patria. Questo principio prima è applicato
al Belgio, poi lo applicherà all'Italia E infatti quando l'Italia entra in
guerra, lui chiaramente si distingue per una linea che così precisa:
"Né zeloti della guerra , né zeloti della pace" Dobbiamo
rifiutare sì la guerra perché è anticristiana, ma non possiamo neanche
accettare una pace ad ogni costo, sempre per quelle ragioni di giustizia che
si diceva. E ancora : "La guerra può illuminarci di amore se
combattuta per impedire la vittoria dell'ingiustizia, del disprezzo di ogni
legge dell'umanità, se non ci si estranea dalla lotta, se non ci si spegne
la pietà, se si accetta la tragedia come una espiazione, se la stessa
vittoria sarà non motivo di gloria ma di pianto...". E qui, gradualmente, c'è la sua evoluzione, sempre
nel senso di vivere la guerra come una pena, una sofferenza che si deve
portare insieme. E' a questo punto che va alla guerra come ufficiale, avendo
chiesto nel novembre del 1916 di andare volontario come ufficiale, dato che
non gli era stato concesso di andare come Cappellano. La cosa sconcerta
certamente. C'è una lettera di Padre Caresana che dice lo sconcerto anche
dei suoi confratelli dell'Oratorio. "E' immensa la nostra afflizione
per questa che si è tentati di chiamare violentazione degli avvenimenti
...". Come dire: sei tu che lo hai voluto, se non volevi non ci
andavi... Questo è veramente un problema, perché non riguarda solo il
Padre Bevilacqua, riguarda i cattolici in quegli anni, altre figure di
sacerdoti. Pensiamo a Padre Semeria, interventista e cappellano al Comando
supremo, che poi ebbe una crisi terribile e dovette andare in Svizzera a
curarsi nel 1916. Pensiamo a Don Minzoni, anch'egli cappellano militare. I
cattolici sentivano la guerra come l'occasione, non voluta, per dimostrare
la loro lealtà alla Patria. Dopo le vicende dell'unità d'Italia, della
questione romana, questi cattolici sentivano molto il peso di essere
considerati non abbastanza amanti della Patria. Così la prima guerra
mondiale fu l'occasione per l'Azione cattolica, per tanti sacerdoti e laici
di dimostrare il loro valore come cittadini. In Bevilacqua però c'era veramente qualche cosa di
più, l'idea che non bisogna rimanere assenti dove l'uomo soffre e che là
si deve andare. Il 14 Gennaio 1917 fa la promessa all'altare di non compiere
mai atti di odio ma solo di misericordia. Aveva chiesto di non portare armi
e ciò non poteva non mettere in imbarazzo i superiori, i quali però furono
alla fine molto comprensivi e lo lasciarono fare come se fosse un
cappellano, non gli imposero cioè di essere l'ufficiale che comanda. Così
lui era riuscito ad organizzare addirittura un commercio clandestino con gli
avversari, al fronte. Gli scambi avvenivano di notte: "noi avevamo
bisogno di sigarette, loro di pane...". Il 10 Giugno del 1917 però comincia un'evoluzione
interiore di fronte a tanti massacri, a questa carneficina. "Tra gli
orrori della guerra sento di più che Cristo solo, il Vangelo che è luce e
vita, soltanto questo ci può salvare dalla barbarie". Cade prigioniero
nel dicembre del 1917 e ho già letto quella
testimonianza del compagno di prigionia che soprattutto lo vide sempre come
ministro di Dio. "Solo due cose contano per lui, Cristo e la realtà e
bisogna farle incontrare". Allora quest'uomo che era entrato nella
realtà umana dei suoi contemporanei, in guerra, dopo la guerra dice
chiaramente qual è il suo approdo, la sua valutazione. Nel libro "Luce
nelle tenebre" che padre Gemelli pubblicò nel 1921
nell'edizione di Vita e Pensiero (rieditato poi da Studium). C'è
chiaramente il giudizio che è quello di Benedetto XV della "inutile
strage". Ha ragione, dice,
la voce lontana che parte da un tumulo del Podgora: "La guerra non
cambia niente, non migliora, non redime, non fa miracoli, non paga i debiti,
non lava i peccati in questo mondo che non conosce più la grazia. Potessimo
dire alla guerra: Ci hai battuto come il ferro e come i venti battono le
pareti alpine, ci hai triturati come il grano ma ci hai rinnovati...invece
no, l'umanità intera ne esce sconfitta". Ecco la sua conclusione su di una guerra nella quale
lui ha fatto, in realtà, il Cappellano, senza mai alcun atto di violenza E ritorna. Nel 1921 viene eletto Preposito della
Congregazione. Per sé, non vuole impegnarsi in politica, attento com'è ai
problemi dell'uomo contemporaneo. Ma non può tacere: i socialisti -dice-
sono rappresentanti antipatici di una causa simpatica. Ha perduto fiducia
anche nei conclamati "valori nazionali" perché vi corrispondeva
solo egoismo e profitti di guerra. Parla del grande peccato collettivo di
Caporetto: il denaro diventato sacramento visibile di ogni gioia invisibile.
E' chiaramente avverso al comunismo e nello stesso tempo, sull'altro fronte,
dichiaratamente contrario al fascismo, per quattro criteri:
l'anticlericalismo, l'alleanza con la ricca borghesia, la violenza, la
pretesa di monopolizzare il sentimento d'amor patrio. Lui era stato un
patriota, un valoroso combattente premiato con due medaglie di bronzo e si
sentiva a disagio di fronte a un patriottismo a senso unico. Si dedica di più alla catechesi, quindi, che alle
questioni sociali; si preoccupa soprattutto della liturgia,
dell'evangelizzazione. Quelle belle edizioni di Vangeli con caratteri
tipografici d'arte della Morcelliana, sono state ispirate da Padre
Bevilacqua. Lui diceva che il Vangelo deve essere anche una bella pagina,
deve avere una veste gradevole, per invogliare i lettori. Poi però venne la polemica con Turati, qui a
Brescia. Diventò il "caso Bevilacqua". Venne l'assalto degli
squadristi alla casa della Pace, la polemica con gli articoli di Julius
Evola su Critica fascista. Come si sa, Evola è stato uno dei teorici,
rarissimi, del razzismo e dell'antisemitismo in Italia... A quel punto le
cose si scaldarono e fu chiamato a Roma. Fu chiamato ad un momento di fedeltà.
Il Papa stesso Pio XI, come disse dopo al Padre Caresana, lo tolse dalla
mischia. Pio XI faceva le cose con signorilità. Non voleva tappargli la
bocca, voleva soltanto toglierlo in quel momento e preservarlo per altri
momenti, per altre cause. Lo fece chiamare dal Cardinal Laurenti, il quale
al Padre Paolo Caresana allora Preposito disse che lo faceva consultore dei
religiosi, che lo metteva sotto la sua protezione, lo faceva abitare nella
casa degli Assistenti sulla via Aurelia. Fu ricevuto anche dall'Abate
Schuster credo proprio pochi mesi prima che questi diventasse Arcivescovo di
Milano e tutti gli dimostrarono una grande stima. A Bevilacqua certamente
l'obbedienza costò non poco, però ebbe i senso della fedeltà e ai suoi
confratelli disse: Fate in modo che le coscienze sappiano che la Chiesa ha
agito con libertà e a mio riguardo avrei potuto morire sull'Ortigara per la
patria e invece Dio mi ha salvato per una immolazione più bella, quella per
la mia Congregazione. Rimane a Roma. A Roma sono anni buoni perché trova
subito lavoro dappertutto, ma anche proprio per la Santa Sede, nell'Opera
per la preservazione della fede, che era un'istituzione voluta da Pio XI per
controbattere la propaganda e l'infiltrazione protestante. Mettendosi al
lavoro, dà subito un suggerimento: Non basta la preservazione della fede,
bisogna aggiungere la provvista di nuove chiese in Roma. In una sua
'memoria' dice: Se la fede è debole fra la gente, è anche perché manca
l'assistenza, mancano le Parrocchie; crescono i nuovi quartieri, creiamo le
parrocchie, diamo una struttura alla presenza ecclesiale e così la
propaganda protestante avrà un effetto molto minore. Proprio per questo suo
intervento fu modificata l'opera, che divenne quella che è adesso, Opera
delle provviste delle nuove chiese in Roma. Collaborava con la Rivista Fides con Igino Giordani,
due antifascisti. La rivista durò fino al dopo guerra ed era una rivista
interessante, di orientamento ecumenico. C'erano delle cose che non si
pubblicavano in altre riviste... Nell'agosto del 1932 torna alla Pace. Ma in questi
4/5 anni trascorsi a Roma, sarebbe interessante vedere che cosa è passato
fra lui e G. B. Montini che era stato suo studente qui a Brescia e presso il
quale abitò a lungo a Roma, in casa sua. Abbiamo anche una lettera in cui
Bevilacqua si dichiara pronto a "sacrificarsi" nel caso di dover
seguire il Montini in Vaticano dove avrebbe dovuto stabilirsi. Credo che
sarebbe un tema degno di essere approfondito e che forse non è stato ancora
trattato questo del rapporto Bevilacqua-Montini, il futuro Paolo VI. Sarebbe
interessante vedere soprattutto le testimonianze dirette. Indubbiamente lui
è stato un ispiratore, sempre nella fedeltà e nella discrezione. Mai
infatti lui ha affermato di avere dato dei suggerimenti a Monsignor Montini,
né come Arcivescovo di Milano, né come Papa. Sarebbe quindi molto
interessante vedere sul piano delle idee quali sono quelle che sono passate
da Bevilacqua a Monsignor Montini. Nel 1932 dunque ritorna alla Pace e qui abbiamo il
suo libro che forse è il più bello: "L'uomo che conosce il
soffrire" (2° Ed. Studium). Vi si trova la critica alla civiltà
moderna, lui che era un intellettuale, lui che leggeva e studiava
tantissimo, senza però lasciarsi prendere dal mito della cultura, anzi
contestandola come qualche cosa di potenzialmente astratto oppure di
ideologico. Dice infatti che la cultura vale soltanto se rapportata all'uomo
concreto, alle esigenze dell'uomo che vive, se soprattutto ha l'umiltà di
abbandonare gli schemi, i grandi sistemi e di andare invece a quelle che
sono le grandi domande dell'uomo. Poi c'è la sua polemica naturalmente sul
nazismo, sul bolscevismo, sull'economia liberistica; sembrano parole dette
adesso, per esempio quelle
sulla civiltà che impazzisce sempre di più per il denaro, per il progresso
tecnico, per il dominio e il potere. Anche rispetto al capitalismo è molto
critico. La sua è una posizione morale. Alla pari del comunismo, il
capitalismo ha adorato mammona sopra Dio, ha negato il valore della
personalità umana, l'ha torturata e degradata nelle officine, l'ha venduta
nelle borse, l'ha sconsacrata privandola di tutti i suoi venerabili segni
divini. Il culto del denaro, dice, ha
raggiunto una forma di idolatria, perché sacrifica ogni valore spirituale,
è causa di tensioni sociali fino ai conflitti violenti, alle rivolte
disperate del mondo contemporaneo. Esso è il più formidabile nemico della
personalità umana. Ora, se si deve essere intransigenti sul comunismo in
quanto ideologia atea e materialista, occorre però capire coloro che
credono nel comunismo in buona fede. E' cristiana la preoccupazione per
questa aspettativa di giustizia e bisogna salvare l'anima di questa gente.
Ancora a proposito della critica alla cultura, accusata di tradimento
dell'uomo perché lo ha distrutto diffondendo il fascino del dubbio su ogni
verità e valore, su tutto ciò che Padre Bevilacqua chiamava la casa
paterna dell'umanità, perché solo nella verità l'uomo trova la sicurezza
e può realizzare l'incontro con gli altri uomini. L'uomo non vive di dubbio
-dice- è costretto a costruire idoli al posto di Dio, a cercare in verità
parziali o anche nell'errore ciò che ha persona rifiutando la verità
totale che Dio ci ha fatto conoscere in Cristo. Un altro punto è la messa in guardia su certi
atteggiamenti dei cristiani. Due sono le prove che il cristiano deve
superare nella vita: la persecuzione e il trionfo. Si noti come le metta
sullo stesso piano. La più grave è la seconda. La prima può fare
degli apostati, può spogliare dei beni, può far scorrere il sangue dei
martiri ma non tocca la libertà della coscienza e ha sempre segnato alla
fine la vittoria della fede e della Chiesa. Le vicende delle cristianità
dell'est dimostrano questo: i cristiani sono stati spogliati dei beni, è
scorso il sangue dei martiri, ci sono stati anche degli apostati, ma alla
fine è seguita la vittoria della fede. Il trionfo invece -dice- quando i
cristiani si sentono protetti, pasciuti, illusi da onori e privilegi,
garantiti dalle patenti umane, quando avviene questo i cristiani s'illudono
e si fanno inerti, la loro coscienza viene svuotata della forza della libertà,
dimenticano che il Cristo è il capovolgitore di ogni criterio e di ogni
gerarchia di valori. E' ciò che è avvenuto col fascismo. E viene la seconda guerra. Questa volta, dopo essere
stato nella prima ufficiale degli alpini, chiede di essere cappellano della
Marina. Ha già 60 anni e per lui non è facile. Infatti non gli consentono
di andare sulle navi di combattimento e allora va su di una nave ospedale,
poi su una di appoggio e aiuta e assiste ugualmente in fatti drammatici di
combattimento, sotto bombardamenti pesanti, meritandosi la terza medaglia di
bronzo al valore militare. Come cappellano della Marina, viene colto
dall'armistizio dell'8 Settembre a Venezia e riceve l'ordine di scendere
l'Adriatico coi cadetti. La nave si ferma a Brindisi, già occupata dagli
alleati ed è a Brindisi che il 14 Ottobre celebra la Messa davanti a
Vittorio Emanuele III, una Messa che è stata considerata singolare, perché
centrata tutta sul tema: "Beati quelli che piangono". Nell'omelia
Padre Bevilacqua indica al Re la via dell'esilio, sbalordendo i presenti, e
ricorda che il Signore innalza gli umili e abbassa i potenti, elargisce e
toglie i doni di questa terra. Al Re ricorda anche che ben diverse sono le
corone che hanno valore davanti a Dio e sono le corone di spine ed
esplicitamente dice: "Ti è stata posta sul capo una corona di spine e
per questo sei vicino al tuo popolo". Al di là del momento, è sempre
costante in Bevilacqua questa capacità di cogliere nella sofferenza, nella
prova, nel dolore, il momento della salvezza. Lo diceva al Re come lo aveva
detto ai soldati, alla gente, a se stesso. Poi c'è il dopo guerra, la Costituente. Partecipa
alle vicende però mai direttamente nella politica, sempre con un discorso
di preoccupazione morale, con un discorso di responsabilità. Abbiamo, nel
1946, la fondazione di Humanitas, la grande missione di Milano nel 1957.
Quest'ultimo è uno dei punti che può interessare il suo rapporto con
l'Arcivescovo Montini, che cosa cioè gli abbia suggerito per la missione
stessa. Certamente era sempre l'uomo che partecipa a tutto il dibattito
contemporaneo, uomo di cultura. Ma come ricorda Paolo VI nella famosa
udienza data alla parrocchia veronese del Cardinal Bevilacqua. Bevilacqua ha
dato l'esempio di una cultura ecclesiastica nuova e moderna che comprendeva
il dovere dello studio assiduo, quotidiano. Dice Paolo VI : Non so che abbia
passato un giorno senza dedicare allo studio tre o quattro ore di lettura
sistematica, prendendo note con la sua orribile ma sempre identificabile
grafia. Bisogna che il clero italiano sia colto, che si tenga al corrente
delle grandi idee che percorrono il mondo, sapere che cosa avviene, saper
rispondere e commisurare la vita cattolica con la verità. Ciò che dice
Paolo VI è esattamente il pensiero che lui aveva della cultura come
incarnazione. A interpretare l'anima del popolo, della gente, fu
chiamato in occasione dell'invasione russa dell'Ungheria nel 1956. La sua indimenticabile orazione si tenne nella
piazza del Duomo (ora piazza Paolo VI) gremita di folla. Impostò il
discorso sulla domanda biblica: "Dov'è tuo fratello?".
Questa domanda -disse- si posa sul vero popolo russo dall'anima
mistica aperta al colloquio con Dio. Ma da quando è stato bandito Dio non
più fratelli ci sono stati, ma compagni pronti a sterminarsi nella lotta
per il potere, polizia segreta, apparati, gente da opprimere; la fratellanza
si è bruciata, bandita dai cannoni costituiti con la fame del popolo.
"Dov'è tuo fratello?". I fratelli furono incolonnati per la
Siberia terra di lotte e di sofferenze, con le madri ridotte a staccarsi dai
loro bambini, appare in questi giorni ai confini dell'Ungheria con il
cartello al collo recante il nome e un estremo messaggio: "pensate voi
ai nostri figli, noi torniamo a combattere e a morire". E' la logica
progressiva e inesorabile della morte. Stalin elimina i pastori delle anime
per sgozzare il gregge; poi si getta sui militari per avere egli unico il
merito della vittoria, poi viene l'eliminazione dei capi e questo non lo
dice per sua iniziativa il povero prete che vi parla, ma lo dice Kruscev. A
un signore che mentre mi recavo qui mi chiedeva: "Per chi suonano
queste campane?" Avrei potuto rispondere: "Per me, per te, per la
nostra civiltà". Poi viene contemporaneamente la sua esperienza
pastorale. Nel 1949 era venuto parroco a Sant'Antonio, in via Chiusure, qui
in città. "Sono stato sempre rettore di una chiesa di ricchi ,
lasciate che finisca i miei giorni in una chiesa di poveri". Un altro tema si potrebbe toccare. Qual'è l'ideale
politico per un cristiano? Risponde: un altissimo equilibrio di una vita
politica autonoma che respiri in piena atmosfera cristiana. Contro laicismi
impotenti a sostituire qualche cosa di valido al cristianesimo e contro
clericalismi ciechi che non misurano le cariche di collera che suscita ogni
tentativo di trattare l'uomo moderno da minorato e da manovrato, il
cristiano ferma la possibilità di una città cristiana senza far assumere
alla chiesa funzioni e responsabilità che esulano dal suo divino mandato. Né
la Chiesa-Stato, né lo Stato-Chiesa. Ancora, nella sua azione pubblica il cristiano deve
promuovere sempre gli "umiliati e offesi", cessando anche nel
pensiero di trattare i proletari da minorenni, perché la vera educazione
vuole che si trattino gli altri per quello che dovranno divenire e non
soltanto per quello che sono e domanda quindi la confidenza e l'amore vero.
Dio per salvarci ha scelto le vie dell'umanità, mentre troppi cattolici
preferiscono le vie della potenza. In queste espressioni folgoranti che chiarivano le
situazioni senza mai andare direttamente contro nessuno ma mettendo a fuoco
il problema, è costante in lui un'altra sollecitudine: i lontani.
L'aggancio ai lontani va fatto con fiducia e comprensione, calandosi nella
loro pelle, nei loro condizionamenti ambientali, economici, ancestrali;
assumere su di sé le loro angosce, piangere quando piangono, capire le loro
gioie oneste e fin dove è possibile parteciparvi e nella discrezione, perché
il vero Dio è discreto, la discrezione è la firma dei miracoli di Dio e il
ministro di Dio deve essere discreto, capace di rispettare sempre la realtà
umana di ciascuno, dandogli la proposta dell'amore. E viene la stagione del Concilio. In Bevilacqua
-nelle sue azioni, in tutti i suoi scritti- c'è un seme, un fermento di
idee che nel Concilio si esprimerà. Particolarmente, gli spetta un
contributo sulla liturgia, preghiera comunitaria, che deve essere
comunicazione, azione, gestualità. La liturgia come azione cristocentrica:
è Cristo che si offre al Padre e noi facciamo comunità nell'offerta di
Cristo. Nella liturgia Cristo forma a se stesso, commisura la nostra
personalità alla sua. E' dalla liturgia che comincia la riforma della
Chiesa. Non è un fatto cronologico in quanto la Costituzione sulla liturgia
fu il primo documento approvato al Concilio, ma un fatto genetico. Lui
riteneva che dalla liturgia nascesse la novità per la riforma della Chiesa. Muore Giovanni XXIII, che lui definisce "un
contadino entrato nella storia, in quanto è riuscito a entrare in punta di
piedi in tutte le anime". Naturalmente il successore fu proprio colui
che Bevilacqua poteva auspicare e lì si vede ancora la sua discrezione: non
fa cenno, non dà segno di compiacimento, al di là di quello che poteva
essere il sentimento naturale. Tornando da quella visita in Terra santa
dice: Bene va il Papa in Terra santa, perché il Papa appartiene
all'ultimo bimbo affamato arabo, come appartiene all'ultimo ventre gonfio di
fame dell'India (confidenzialmente il Papa gli aveva scritto del suo
prossimo viaggio). "Bene, Don Battista, finora avevo pensato che
avresti asfaltato e messo i lampioni alla strada tracciata da Papa Giovanni,
ora sono sicuro che andrai ben oltre". A un certo punto il Papa lo fa
Cardinale. Siamo agli ultimi mesi. Quasi volendosi giustificare il Papa
dice: "E' un nepotismo rovesciato, se è un nepotismo, perché non è
lo zio che incorona il nipote, ma il nipote che incorona lo zio". E qui viene la sua grande e ultima parola che a me
Cardinale ha fatto veramente sentire in profondità la responsabilità di
certe dignità, quando nel Duomo di Brescia si chiede: "Un Cardinale
che cosa è?”. E risponde: “E' un cieco che domanda a Dio in nome degli
altri ciechi di vedere, di vedere. Quante volte nella vita ho provato questa
angoscia e le vesti cardinalizie non me l'hanno tolta. Noi siamo tutti dei
ciechi e la luce la domando a Cristo, soltanto a Cristo, umilmente, da
pover'uomo. Ricordo ciò che mi ha detto Pietro nel giorno in cui mi ha dato
la porpora. La porpora è dignità ma la dignità non è mai separata
dall'autorità e l'autorità non deve mai essere separata dalla
responsabilità e questa mai
separata dal servizio. E il servizio che cos'è? E' la carità, è la carità. Oggi il Cristo dall'altare mi dice: Non illuderti
perché sei vestito di rosso invece che di nero, non illuderti perché hai
una mitria invece dell'amato basco che adoperi abitualmente; tutta la tua
vita diventa una commedia, una menzogna, se non capirai che cosa ti ha detto
il Papa parlatandoti della carità”. Questo mi sembra il messaggio del
Cardinal Bevilacqua, il suo messaggio perenne.
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